In molti dubitavano, ma in tempo di record l’arma contro il Coronavirus è arrivata, proprio sul finire del 2020
Domenica 27 dicembre è iniziata il tutta Europa la vaccinazione contro il Covid-19. Un avvio “simbolico” che con una data comune – quella del Vaccine day – ha voluto suggellare l’impegno e lo sforzo corale di tutta la comunità europea nel contrastare l’epidemia in maniera compatta. Da quella data è partita la vera campagna vaccinale che per il momento non interessa ancora l’intera popolazione ma solo gli operatori sanitari e quelli delle RSA, individuati come soggetti prioritari da vaccinare data appunto la loro professione e rischio.
Il vaccino finora utilizzato in Italia, poiché era l’unico approvato al momento dell’avvio della campagna, è quello sviluppato da Pfizer-BioNTech. Lo scorso 8 gennaio l’AIFA (agenzia italiana per il farmaco) ha autorizzato anche il vaccino prodotto da Moderna, che era già stata approvato dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e somministrato con successo negli Stati Uniti e Inghilterra. Entrambi i vaccini hanno un’efficacia tra il 94 e 95%, entrambi sono vaccini di nuova generazione basati sull’utilizzo dell’RNA messaggero e la differenza che rende più gestibile, sul piano della logistica, il vaccino di Moderna sta nel fatto che quest’ultimo va conservato a -20°C contro i -70° richiesti da Pfizer-BionTech.
Ma appunto, cosa sono questi nuovi vaccini e come mai sono stati realizzati in così poco tempo?
Domande legittime che trovano una risposta anche nell’eccezionalità della situazione che viviamo. I vaccini sono stati sviluppati in meno di un anno, un tempo sicuramente breve se paragonato ad altre situazioni passate ma che deve tenere conto del fatto che sull’attuale coronavirus (SARS-CoV-2) i ricercatori avevano già qualche competenza considerato che un virus simile aveva causato la SARS quasi una ventina di anni fa.
Grazie a quelle conoscenze è stato possibile individuare il meccanismo che il coronavirus usa per eludere le difese delle cellule, iniettare al loro interno il proprio materiale genetico (RNA) e indurle poi a produrre nuove copie del virus, che a loro volta portano avanti l’infezione. A questo si aggiunge che, per avere in fretta un vaccino, le autorità hanno accorciato di molti gli iter burocratici (non quelli di sicurezza!) e case farmaceutiche hanno fatto investimenti importanti, avvalendosi di tecnologie avanzate e di collaborazioni, proprio per arrivare a mèta.
È il caso di Pfizer-BioNTech: già a gennaio la società tedesca BioNTech aveva previsto che il nuovo virus avrebbe presto generato una pandemia e iniziò a basare le sue ricerche sullo sviluppo di un vaccino ad alta efficacia e di un’azienda più grande con la quale collaborare grazie al sostegno economico del proprio paese, trovando appunto l’interesse di Pfizer.
A maggio, le due aziende avviarono i primi test clinici su due versioni del vaccino, rilevando che quella chiamata BNT162b2 comportasse minori reazioni avverse, diventando quindi il vaccino candidato. A luglio Pfizer e BioNTech avviarono i test clinici di fase 3, i più importanti per rilevare l’efficacia del vaccino, coinvolgendo 30mila volontari, e aumentando poi il numero di partecipanti nell’autunno fino a 40mila.
Oltre a rivelarsi sicuro, il vaccino ha mostrato un’efficacia del 95%, grazie alla somministrazione di due dosi a distanza di tre settimane.
Con la stessa logica possiamo capire perché questo vaccino, contrariamente a quelli che abbiamo conosciuto, si basa sulla tecnologia dell’RNA messaggero. Questa modalità infatti è nota da circa 10 anni ma nonostante la sua attrattività (concetto semplice, velocità di sviluppo e facilità di produzione), prima della pandemia della COVID-19, non aveva beneficiato degli investimenti necessari, in quanto molto più costosa rispetto ad altre soluzioni che richiedono però più tempo. Insomma davanti ad un evento straordinario e mondiale come il Covid, straordinarie sono state anche le risposte messe in campo.
E davanti ad una domanda così urgente come è quella del vaccino, gli investimenti e gli sforzi non hanno badato a spese, rispondendo ad una elementare regola di mercato, ovvero quella di far meglio e prima. E proprio questo elemento ribalta le criticità mosse sui tempi e dovrebbe anzi essere motivo di rassicurazione.
Dunque, cosa ci iniettano con il vaccino?
Altro tema molto dibattuto, o se vogliamo curiosità più che lecita visto che come abbiamo detto prima i vaccini contro il covid attualmente in uso rappresentano una novità anche dal punto di vista della composizione, è capire bene “cosa” ci sia dentro e come funzionano.
La composizione è in realtà molto semplice. L’ingrediente centrale è una forma sintetica di mRNA, presente in più copie e protetto da microscopiche bolle lipidiche, per fare in modo che possa raggiungere intatto le cellule senza essere distrutto subito dopo l’iniezione. Gli altri ingredienti sono sostanze che servono a mantenere stabile il vaccino, che viene poi conservato a circa -70 °C.
Quando va fatta l’iniezione il vaccino viene scongelato e iniettato insieme a una soluzione salina, fino alla giusta diluizione. Una volta scongelato, il vaccino deve essere mantenuto a temperatura di frigorifero e utilizzato entro 6 ore. La bassa temperatura serve a mantenerlo stabile, perché l’mRNA tende a degradarsi molto rapidamente. Dopo che si riceve una dose, le particelle del vaccino entrano in contatto con le cellule e rilasciano l’mRNA.
Al suo interno ci sono le istruzioni per costruire le proteine che si trovano sulle punte del coronavirus, senza che si producano le altre parti più pericolose del virus. Le cellule seguono le istruzioni e costruiscono queste proteine, al termine del processo l’mRNA viene distrutto senza che lasci tracce. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscerle e a contrastarle, ma senza i rischi che si correrebbero nel caso di un’infezione con il coronavirus vero e proprio. Si sviluppa, in poche parole, la difesa immunitaria contro il Covid.
Le conoscenze acquisite nel contrastare queste proteine possono poi essere impiegate dal sistema immunitario per contrastare un’eventuale infezione. Alla luce di tutti chiarimenti occorre evidenziare quella che è al momento l’unica vera incognita dei vaccini, ovvero la durata dell’effetto.
Al momento infatti non sappiamo per quanto tempo duri la protezione perché il vaccino è impiegato da troppo poco tempo. Così come, comunque, non sappiamo nemmeno quanto duri l’immunità dopo essere stati positivi al coronavirus. Ci sono prime evidenze scientifiche per ritenere che si sviluppi un’immunità nel lungo periodo, ma serviranno ulteriori dati ed elementi per avere conferme.
Questo non significa che è inutile vaccinarsi! Anzi, al contrario!
Il vaccino è l’unica arma di cui disponiamo per combattere la pandemia, la sua protezione è verificata e oggi è necessario ridurre il numero di malati.
Dal punto di vista organizzativo, possiamo affermare che in Italia la campagna vaccinale è iniziata col piede giusto arrivando a toccare quota 1 milione di vaccinati qualche giorno fa. Il piano nazionale si articolerà in più fasi e la speranza è che il trend positivo, registrato in queste settimane, possa proseguire anche per il resto della popolazione. Al momento la vaccinazione non è obbligatoria, e le intenzioni del Governo sembrano essere quelle di valutare il tasso di adesione nel corso della campagna prima di prendere decisioni a tal proposito.