Mattia Giangrande è un cisternese doc, classe 1996 e con una passione per il calcio da sempre. Proprio questo talento lo ha portato nel 2016 a vincere una borsa di studio negli States grazie ad un’agenzia- la USA College Sport Italia– che premia sportivi di livello dando loro la possibilità di vivere e studiare in prestigiosi college americani. Mattia da 5 anni ha lasciato l’Italia, ha recentemente conseguito la sua seconda laurea in Business Administation nell’università del Missouri dopo quella di due anni fa in International Business e Marketing. Lo abbiamo raggiunto- virtualmente- dall’altra parte del mondo. Ci ha raccontato che l’America post-covid già è in piena ripartenza, che lui è stato vaccinato da tempo ma soprattutto abbiamo parlato di questa sua straordinaria esperienza accademica, sportiva e di vita.
Mattia, innanzitutto come stai? Come va lì?
Tutto bene. Qui la vita è diversa che in Italia. Io mi sono trasferito perché sognavo di continuare a giocare a calcio ad alti livelli ma anche di conseguire una laurea. Senza rinunciare a nulla, cosa che in Italia sarebbe stata più difficile. Io ho sempre giocato in alte serie, un anno in C e poi sempre in D. Ma era molto complicato coniugare entrambe le cose. Qui in America invece c’è proprio la mentalità giusta per fare questo: sport ed educazione universitaria vengono messe quasi sullo stesso piano anche perché se vai male in classe non ti fanno giocare, cioè se non hai una certa media non puoi nemmeno fare il tuo sport. Questa cosa ti spinge, ti motiva a studiare. Perché altrimenti non puoi praticare il tuo sport. E allora dai il massimo ai corsi, passi gli esami ma non rinunci alla tua passione. E la cosa bella è che durante il campionato giri tutto il paese e hai modo di conoscere questa terra a 360°. E’ un’esperienza che mi ha cambiamo e migliorato. Non solo calcisticamente ma umanamente.
Quando sei tornato in Italia l’ultima volta?
Il covid ha ovviamente sconvolto tutti i piani, sia per la didattica che per i viaggi. Sono tornato il marzo passato, prima che scoppiasse il lockdown e sono stato in Italia fino a gennaio poiché ho seguito i corsi a distanza. Poi sono tornato e ho seguito in presenza gli ultimi corsi del master fino al conseguimento della laurea.
In Italia sempre causa Covid la DAD è stata una scelta obbligata che ha coinvolto tutti i gradi di istruzione, compreso quello universitario. In America come si sono organizzati?
Anche qui ci si è organizzati subito con la didattica a distanza ma per alcuni corsi c’era anche la possibilità di farli in presenza. Dividevano le classi per gruppi, una metà seguivano i corsi i presenza e una metà online. E la volta successiva si alternavano. Parliamo di classi di 30 alunni circa. Un sistema che secondo me ha funzionato. Inoltre qui erano già più predisposti e pronti ad adottare efficientemente le lezioni online.
Per quella che è stata la tua esperienza, come giudichi il sistema accademico statunitense e quali sono le differenze con quello italiano?
Le differenze principali stanno innanzitutto nell’organizzazione dei corsi e degli esami. Qui si ragiona per classi più che per corsi finalizzati ad un esame. Il primo semestre va da agosto fino a dicembre. In questo periodo tu frequenti la classe durante il quale fai anche dei “compiti” come li chiamano qui. Che sono delle presentazioni, dei progetti, delle esposizioni orali che alla fine contribuiscono al voto finale dell’esame. Non c’è l’esame unico e l’esame individuale ma c’è questo processo che ti porta a doverti relazionare a far progressivi passi avanti. Secondo me non solo è un approccio migliore ma anche più meritocratico, perché valuta veramente il tuo percorso.
E invece per lo sport? Quanta differenza c’è tra lo sport agonistico in Italia e negli USA?
Io credevo che il livello sia sportivo che calcistico fosse molto più basso qui negli States. In realtà le squadre sono molto competitive perché hanno una rosa proveniente da tutto il mondo. Molti europei, molti sudamericani. Il primo anno nella mia squadra di 25 elementi, 21 erano stranieri. Provenivamo da Italia, Brasile, Germania, Francia, Belgio. E il livello della squadra era molto alto. E’ così in tutte le università e il campionato è molto competitivo. Io faccio il centrocampista centrale. La borsa di studio sportiva che ho vinto dura 4 anni ma io ho concluso il mio percorso di studi in 3 perciò in quest’ultimo anno ho fatto l’ “assistant coach”.
Hai brillantemente concluso il tuo percorso accademico. Ora cosa farai?
Una volta laureato la scelta diventa personale. Puoi scegliere di continuare il percorso sportivo, cercando di diventare un professionista, oppure di cercare lavoro lontano dal campo. Io ho deciso di chiudere con il calcio e adesso sto cercando un lavoro. Mi piacerebbe lavorare nell’ import-export visto che parlo più lingue ed ho buona predisposizione alle relazioni.
Nei tuoi progetti futuri è previsto il rientro in Italia?
Sì, non lo escludo. Il mio sogno è di fare un’esperienza lavorativa qui e poi tornare in Italia.
Quanto ti manca casa?
Un bel po’…mi manca! In America ho trovato un bell’ambiente, persone fantastiche. Ma la quotidianità di casa ti manca sempre. Casa è sempre casa!
Come vede Cisterna un ragazzo come te a 8mila chilometri di distanza?
Come un città con molto potenziale e che potrebbe fare molto meglio. Qui in America anche le città più piccole anche qualcosa da offrire. Cisterna ha tante capacità, tanti ragazzi di valore. Molti fanno esperienze all’esterno-come me- e penso possano essere un valore per la comunità. Cisterna non è una brutta città, solo dovrebbe evolvere un po’ più velocemente. Tornare a Cisterna per me è un obiettivo perché amo la mia città.