La testimonianza di Gianni Procacci, tecnico dell’Op Zeoli Fruit di Cisterna, azienda specializzata nella produzione e distribuzione di kiwi a livello sia nazionale che internazionale “Noi non abbiamo alternativa: se muore il kiwi, muore il territorio

Andiamo subito al dunque della questione. Ci può quantificare il danno in termini di coltivazione andata persa?
Dobbiamo rimanere sempre abbastanza sul vago perché non ci sono dati certi. Il problema non si è mai fermato dai primi giorni giugno fino adesso. Sembra che ora siamo arrivati ad un punto di rallentamento del problema, però rimane che tra l’anno 2019-2020 si siano persi oltre 3mila ettari di coltivazione su 9mila totali”. 

Questa perdita ovviamente si riflette sul piano economico-sociale…
Se si guardasse in complessità la questione, ci si renderebbe conto che l’indotto del settore porta uno spaventoso fatturato per tutti. Per fare una coltivazione del kiwi ad esempio servono i pali, servono i fili, le piante, i tubi, le farfalle, serve la plastica, serve una manodopera specializzata e via discorrendo…di conseguenza a prodotto finito ci sono una serie di strutture che danno lavoro a molta gente. La Grecia arriva all’incirca a due milioni e mezzo di quintali prodotti di kiwi, questo numero noi lo facciamo solo nell’agro pontino, tra Cisterna, Latina ed Aprilia. Non abbiamo alternative a questa coltivazione e questo può inclinare l’aspetto sociale. Non possiamo tornare allo zootecnico, non si può tornare sugli ortaggi, come del resto non possiamo tornare sul frutticolo anche per via della forte concorrenza europea. Nella nostra zona è rimasto solamente il kiwi ed il vigneto. Il nostro è un timore forte anche perché gli istituti di credito iniziano ad avere dubbi sulla resistenza del prodotto, bloccando crediti e prestiti alle imprese che corrono il serio rischio di fallimento. In conclusione questa situazione ci sta mettendo paura”. 

L’azienda Zeoli Fruit di Cisterna di Latina

A che cosa è dovuta questa moria e che cosa comporta alla coltivazione?
Questo problema è partito nel 2012 in Veneto, nel 2014 in Piemonte e all’incirca nel 2017/2018 è arrivato nel Lazio per poi prodigarsi nelle altre regioni del sud. Questa problematica nel territorio nazionale c’è da 8 anni. Nonostante l’ottimo lavoro da parte di alcune regioni come Veneto e Piemonte, non siamo arrivati ad una conclusione. Sembrerebbe che sia un patogeno. Se così fosse, parliamo di funghi patogeni terricoli, che colpiscono anche altre coltivazioni. Il problema più grande è che secondo noi, questo sia un mix di fattori. L’actinidia è una coltivazione che bisogna irrigare giornalmente per 5 mesi l’anno e parlando di patogeni tipo funghi, se si tiene sempre il terreno umido, questo non fa altro che aumentare il rischio di incorrere nell’infezioni della coltivazione da questi patogeni. La malattia prevede un marciume accentuato e molto veloce dell’apparato radicale che va a togliere tutti quelli che sono i cavillizzi (la barbetta, la radice fine del frutto che va in assorbimento), successivamente attacca il fattore e praticamente scompare l’apparato radicale del kiwi, facendo “crollare” la pianta. Questo marciume si espande lungo tutto il filare e sancisce la fine per intere coltivazioni”.

Cosa possono fare i produttori, anche piccoli, che sono stati colpiti da questa moria?
Chiudere immediatamente il sistema d’irrigazione della pianta quando ci si accorge che c’è questo problema. Togliere al più presto la pianta malata lasciando la buca aperta e fare asciugare il terreno al sole. Consiglio di non spendere soldi in eventuali “santoni” che ti offrono prodotti miracolosi. Le uniche alternative valide sono i forti innesti che possono anche ridurre la produzione però se messi in un certo modo potrebbero risollevare questa problematica in breve tempo. Se non riuscissimo più a fare le 50 tonnellate per ettaro, ma ne facessimo 30, accontentiamoci e cerchiamo di andare avanti. Iniziamo a pensare che l’actinidia è una frutticola come tutte le altre e che sia impensabile mettere una coltivazione di kiwi e tirarla avanti per 40 anni, non esisterà più, anche perché annualmente escono nuove varietà e nuovi forti innesti e l’unico modo per salvarsi nel nostro paese e di rendersi immediatamente disponibili per le novità. Il made in Italy e riconosciuto in tutto il mondo e tutto il mondo vuole la nostra frutta”. 

Cosa vi aspettate dalle istituzioni?
Io sono figlio di mezzadro non sono un sindacalista. Noi ci dobbiamo mettere a piangere (chiaro riferimento alla ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, ndr) perché perdiamo migliaia di ettari di coltivazione che sono un vanto per l’agricoltura nazionale. Bisogna intervenire. Bisogna salvaguardare il prodotto Made in Italy e “spaccare il culo” a quelli che vogliono imitare il nostro lavoro. Le aziende zootecniche sono sommerse di debiti. Se fallisce il comporto dell’actinidia migliaia di aziende agricole collasseranno. Il mio appello dunque va al ministro dell’agricoltura perché questo è un problema nazionale. I presidenti delle regioni colpite devono farsi carico di aprire un tavolo nel ministero per intervenire immediatamente economicamente per salvaguardare le aziende in crisi. Abbiamo bisogno che il ministro venga nel nostro territorio e che quantomeno sappia la distinzione tra una carota ed un finocchio. Abbiamo bisogno di tecnici e non di politici. Noi non abbiamo alternativa: se muore il kiwi, muore il territorio”.