La crisi della democrazia partecipativa in questi anni non ha risparmiato nemmeno Cisterna: sono sempre meno le persone che si recano ai seggi.
Tra insoddisfazione e cambiamenti sociali di lunga data, il costante disinteressamento dei cittadini sembra essere un fenomeno irreversibile
Spesso si sente dire, in riferimento a come dovrebbe essere funzionare una democrazia, che “chi prende un voto in più vince”.
Si tratta di un’interpretazione puramente maggioritaria della competizione politica che, se ineccepibile da un punto di vista legale, contiene dei limiti intrinsechi che non possono esentarci da una riflessione più ampia a proposito della debolezza della democrazia.
In questo rientra uno dei fenomeni non più trascurabili delle elezioni recenti non solo a livello nazionale ma soprattutto nel caso cisternese: l’astensionismo.
Si prenda il caso delle ultime elezioni amministrative: la coalizione vincente, guidata da Mauro Carturan, ottenne il 50,02% dei voti, vale a dire 4 voti in più sopra la soglia minima per evitare il ballottaggio. Quel 10 giugno, comunque, andò a votare il 67,76% degli elettori.
Considerando che il numero totale degli elettori cisternesi è più di 28 mila, questo significa che non andarono a votare più di 9 mila persone (32,24%).
È un dato impressionante se lo si colloca lungo un trend che nella nostra città parte da molto lontano: alle elezioni amministrative del giugno 2004, che videro trionfare sempre Mauro Carturan, la quota di astensionismo era solo il 13,22%; cinque anni più tardi il dato iniziava a crescere ma rimaneva pressoché stabile, pari al 15,66%.
Un primo solco lo creano le elezioni del 2014: il 21,45% degli elettori non è andato a votare, fino al 32,24% dell’ultima tornata elettorale già citata.
Questi dati, chiaramente, si riferiscono ai primi turni, dato che dai ballottaggi, abbreviando la competizione a due alternative, ci si aspetta un calo degli elettori.
Sicuramente le vicende che hanno travolto l’amministrazione Della Penna nel dicembre del 2017 hanno aumentato ancora di più la distanza tra cittadini e istituzioni, ma ogni fenomeno politico e sociale richiede risposte complesse che presuppongono analisi più approfondite le quali, per ovvie ragioni, non è il caso di affrontare in questa sede.
In ogni caso, una prima bozza di riflessione la si vuole offrire: l’accumulo di insoddisfazione fa percepire ogni nuova proposta elettorale – a ragione – come orientata solo nel breve periodo e questo a sua volta aumenta l’alienazione degli elettori che si sentono manipolati.
La conseguenza osservata è che elezioni poco partecipate sono poco rappresentative e non offrono una legittimità durevole a chi ne esce vincitore. Per quanto è vero che “chi prende un voto in più vince”, una democrazia consapevole del proprio carattere pluralistico non può ridursi semplicemente a una sentenza indiscutibile della maggioranza elettorale e deve quindi tener conto anche degli altri.
Altro elemento da non sottovalutare, e che probabilmente la pandemia accentuerà ancora di più, è il carattere sempre più individuale della società moderna: le persone non solo partecipano poco al momento elettorale, ma tendono anche a non entrare in associazioni, partitiche e non. La via associativa si svolge più sui social che non nelle piazze o nelle sezioni di partito. Date queste premesse, tra poco meno di un mese è difficile aspettarsi che la quota di astenuti diminuisca vorticosamente.
Converrete che questa è la sfida più grande cui saranno chiamate le forze in campo i prossimi 3 e 4 ottobre, se 9 mila voti (non) vi sembrano pochi.